19 Dicembre, Teatro Dadà “Ospedalando la storia”:
Buio in sala.
Voce fuoricampo.
Urlo.
Parole sussurrate.
Un vetro si infrange…
L’attrice in scena.
…E poi lui: il Proiettore!
Il videoproiettore, che per tutte le due ore di monologo si è acceso e
spento in totale armonia, oserei dire in simbiosi, con l’attrice. Certo, a
volte è stato inevitabile che la soverchiasse, con tutta la sua precisa,
puntuale, perfetta magia.
Perché il videoproiettore era lui: Papàpapero!!!
Papàpapero, l’artista della videoproeizione. Il Michelangelo del tubo
catodico reggeva tutta la perfomance di
Mammapapera.
Con quale “remidesca” delicatezza pigiava il pulsante dello standbye
trasformando ogni immagine in oro!
Da sabato scorso il gregario da combattimento più anziano è diventato
lo Yoko Ono di Duckcity e zone limitrofe. Ha
firmato diapositive vintage e teleobiettivi. La Canon (anzi, la
BellaCanon) e la Nikon se lo contendono come testimonal.
Tutto il resto è silenzio. Lo spettacolo avrebbe potuto parlare anche
delle ragadi delle lumache che con il videoproiettore di Papàpapero sarebbe
comunque salito al livello di The tree of
life.
Certo Mammapapera è stata bravina, anche abbastanza credibile. Vestita
di nero poi sfinava anche tutte le plissettature da Chow Chow. Ma ammettiamolo, senza l’intervento di Papàpapero tutto
sarebbe stato come una scenetta parrocchiale.
Eeeeeh va bè, la verità è stata leggermente falsata dalla fantasia
psicotica del povero Papàpapero che si sentiva il Malaussen della serata. In
scena, nascosto, recluso tra una quinta
e il muro a schiacciare il
pulsante di un telecomando che forse non serviva nemmeno ad accendere il videoproiettore, forse era solo un placebo…
in realtà ha solo aperto e chiuso dieci volte l’automobile della
Psycopresentatrice!
Un modo veramente bieco per neutralizzare il canuto pennuto e la sua
innaturale destrezza ad essere maldestromalsinistromalintuttiiversi!
Certo se in dotazione invece del telecomando gli avessero dato popcorn e birra, l’anatide attempato avrebbe
potuto, grattarsi la schiena con una delle corde appese, mangiarsi le unghiette
dei piedi e simulare ( ehm… ssssè,
simulare eh) bronze e puzzette facendo
ricadere la colpa sull’unica artista in scena.
Forse è veramente invecchiato, e ad una certa età basta vedere la foto
di un gattino su facebook per ritrovarsi a fare il mescolino. Insomma, questo
vecchio gallinaccio si è ritrovato in un
vortice di emozioni, e l’occhio del ciclone era proprio lei, Mammapapera. Tutto intorno una
silenziosa sintonia con una platea
magica che si lasciava incantare dalle scene.
È stato strano, pur essendo ad un passo l’uno dall’altra, ciascuno
aveva il proprio compito. Piccole, semplici azioni per raccontare una sfida più
grande, rivivere e far vivere ancora le emozioni dell’ Oncosuite, la storia di
Lady Nutria e Ser Fagiano che si ripete, sempre insieme, eternamente divisi,
vicini. E la Paperaguerriera con il suo fedele gregario da combattimento Bellacana
lì, in platea a ciucciarsi un lecca lecca e vivere da spettatori un’avventure
della quale, in fondo in fondo, saranno sempre protagonosti.
Per un paio di mesi Papàpapero ha indossato la pappagorgia e il
foulard in testa di Mamy e per Zignorina
Baberella e Zignorino Canello ha guginato, , bulito, abbarecchiato ,
lavato, addorbendado, imbregato e sbuffato. Ma non ha mai
mollato, e nel frattempo si è preso la soddisfazione (più e più…e più…. E
più………e piùùùùùùùù volte) di cazziare quella pazza pazza Mammapapera
rinfacciandole di aver preso tra le ali una sfida così grande.
E come un cervello cibernetico la coppia di Paperi si è organizzata
ognuno con il proprio talento, mettendoci del suo, spalleggiandosi e a volte
pallegiandosi al suon di MA Che due biiiiiiiippppONI!!!!!!!!!
E così, alla tenera età di 41 anni, Papàpapero si è ritrovato a fare
il bagarino, il P.R. in giro per negozi ad appendere manifesti, il galoppino
tra vari uffici per le autorizzazioni, si è ritrovato a ripescare le sue
attitudini ossessivorganizzative da ex organizzatore di eventi tra i campi di
A.C, scout, ed Eventi per aziende. Si è ritrovato, dopo 10 anni, a riprendere
in mano la chitarra e a scrive una bozza musicale fatta con due note in croce,
che poi, buttata nel pozzo di San
Patrick da Cavazzona, si è trasformata in una canzone (che poi ha pure dovuto
cantare, anzi... quackquare!!!).
Ma sempre, ogni volta, è rimasto stupito dalla follia di Mammapapera
che si eleva all’ennesima potenza quando si tratta di mettere in scena qualcosa
(vogliamo chiamarlo talento????... mmmh… non so, chiamiamolo… follento).
E così si è lasciato contagiare, e ha cominciato a divertirsi sul
serio a creare la locandina della spettacolo, l’immagine di Papergritte, il
giga acquario di palloncini (attingendo idee dalla lunga gavetta tra le stanze di oncologia
pediatrica).
E poi si è liberato di una
piccola fantasia: creare l’ONCOCROCE, la cui struttura è fatta con i tappi di protezione degli aghi
delle siringhe usate per la pulizia del broviac della Papera (e del Gufetto),
su questa sono stati conficcati aghi
arroventati dalla fiamma di un accendino.
E l’oncocroce è questo, una
sfida! La malattia ti lancia milioni di sfide, continuamente, e ti porta
inevitabilmente a rapportarti con il mistero della fede (Amen). C’è chi
trova conforto e vede nella croce la
sofferenza dei propri guerrieri e negli
aghi i chiodi di Cristo. Per altri l’oncocroce è la rabbia, il dolore,
l’inspiegabile, e allora Dio
diventa il principale accusato, chie la
trasforma in un woodoo, in una bestemmia, come bestemmia è un tumore in una
bimba di pochi mesi! Per altri diventa un grido di ribellione nei confronto di
una realtà che allontana dall’amore di Dio, da una dottrina distante anni luce
dalla propria realtà.
L’oncocroce è quello che ognuno riesce a vedere.
E finalmente… domenica! Tutta la truppa riunita, stanca, felice e con tanta voglia di straordinaria
normalità.
Bè, il lunedì dopo c’è stato il prelievo di controllo della papera per cui... ben
tornata apnea ;)
Il teatro è una scatola magica.
A teatro può succedere di tutto, davvero. Possono accadere le cose più
tremende, si possono commettere i delitti più efferati, vivere le passioni più
brucianti, scatenare i drammi più feroci e sempre, alla fine, tutti ne
usciranno pacificati, arricchiti, per dirla come un manuale di storia dello
spettacolo “purificati dalla catarsi”.
A teatro puoi essere chi vuoi. Puoi trasformarti. Basta crederci, ma
crederci davvero.
Non è fantastico? Non ti serve niente. Solo il tuo corpo, la tua voce
e… BUM! Magia!!!
Le assi di legno consumate del palcoscenico, i pesanti tendaggi neri
delle quinte, tutto è essenziale, minimale, corde, fari… e quell’odore… quella
sensazione di stupore e meraviglia che scende dalla gola al cuore quando il tuo
sguardo, da lì, attraversa la platea buia e vuota.
Poi pian piano le poltroncine si riempiono, i riflettori si accendono…
e la scena si anima.
È come un sogno.
Un’idea folle nata per caso, come un sasso nello stagno. Proviamo.
E il sasso colpisce, i cerchi si allargano e il sogno prende forma.
Prima quelle teste matte di Aseop che accettano la sfida.
Poi il testo che pian piano passa dalla forma scritta a quella orale.
Le scenografie surreali e oniriche di Papàpapero, la locandina,
musiche e canzoni originali… e tutta una banda di amici uno più matto dell’altro
disposti ad aiutare, , arrangiare, gonfiare centinaia di palloncini, trattenere
istinti omicidi (ma solo per la buona causa).
E poi tutti. Tutti quelli che sabato 19 Dicembre sono usciti di casa
per venire lì, in quel luogo magico, ad assistere ad un sogno che diventava
reale.
Sotto gli occhi di poco meno di trecento persone la magia del teatro
ha trasformato la storia di una piccola Papera Guerriera e della sua
strampalata Paperfamily, in un racconto armonico e dissonante, fluido ma
frammentato, vero e surreale… proprio come l’esperienza che narrava.
Sul palco e dietro le quinte gli elementi cari alla Paperfamily:
ironia, leggerezza, follia, incoscienza e un po’ di coraggio. E poi… piume. Piume
piume piume e ancora piume… dappertutto, ovunque, anche dopo, a distanza di
giorni. Come il riverbero che hanno certe avventure, che sembra che non ci
pensi più, invece poi... torna fuori una piuma e…
Tra le frasi ricorrenti, non solo di questi giorni, ma di questi
ultimi due anni c’è sicuramente “Non so
dove siate riusciti a trovare la forza, io non ce l’avrei mai fatta!” Bè, non è una questione di forza, né tantomeno
di essere più capaci o migliori di altri.
È solo che questo amiamo e sappiamo fare.
A modo nostro, che è
sicuramente singolare, la costruzione e la messa in scena di Ospedalando –La
storia- è il tentativo di dare un senso
a tutta la sofferenza che altrimenti sarebbe stata vissuta, sì, attraversata, ma sarebbe rimasta un fatto
solo nostro, e di monadi di dolore è pieno il mare. A noi piace navigare
guardandoci attorno, vedere che non siamo soli, e se possiamo accendere una piccola luce per
dire anche ad altri che non si è soli, bè, perché non farlo!?
Così è nata una serata magica, piena di emozioni che salivano e
scendevano dal palco alla platea e viceversa. Una magia cominciata con l’incanto
frusciante di trecento sacchetti di carta che si aprivano e finita starnazzando
in una nuvola di piume leggere.
Grazie. Ancora grazie a tutti quelli che ci hanno accompagnato nel
racconto e hanno reso speciale e importante una storia tra tante.
Grazie a tutte quelli che fin dall’inizio ci hanno creduto e a quelli
più scettici che si sono ricreduti per strada (ehm… Papàpaaaaapeeeero!!!).
Grazie a chi ha sostenuto e appoggiato il progetto, agli amici
stakanovisti e festaioli che ci hanno aiutato colorando il lavoro con allegria.
Grazie a chi si sta impegnando perché questa storia possa essere
raccontata ancora.
Grazie a questa matta Paperfamily che ha retto anche questo tour de
force.
… e grazie a Papàpapero che, nonostante sia convinto che tutto lo
spettacolo si sia retto sulle sue proiezioni, dopo tanti anni sa ancora rendere
possibile l’impossibile!
Dimenticavo, visto che ormai
manca poco…
Buon Inizio (speriamo!)