domenica 19 marzo 2017

Fathers and Sons





Nei vecchi palazzi delle città si trovano ancora sui portoni e nei citofoni delle targhette in cui i cognomi degli inquilini sono preceduti dal titolo professionale: Dott., Ing., Prof., Rag.
Un tempo era un’abitudine consolidata, come se ci fosse la necessità di identificarsi nel proprio lavoro, il bisogno innato di avere una qualifica, appartenere a una classe, dichiarare al mondo la propria identità. Però, onestamente, non ho mai visto una targa con scritto: Op. Spec., Idr., Elettr., Ed., Mur., Oss., Inf., Disoc., Becc.,… strano, perché ogni professione ha il suo ruolo in una società democratica, e richiede dignità e rispetto.
Oggi i campanelli moderni sono più sobri, sarà per il fatto che i “Dott.” Sono esponenzialmente aumentati, o forse perché servirebbero campanelli srotolabili “Arleoni Dott. in scienza dell'Educazione, laurea triennale”,” Dott. Ganz, dottore in medicina e chirurgia specialista in Psico biotica microscrotica con bifidus”, “Dott.sa Manfredi, specialista in drammaturgia applicata e in senso letterale e metaforico”… e così via.
O forse semplicemente i campanelli non si suonano più, sostituti dagli squillini sul cellulare. E poi con i social, si può raccontare tutto di sé, altrochè targhetta!
Sarebbe ancora più incredibile se, come in un tweet, si potesse sintetizzare qualcosa della nostra identità con una semplice targhetta alla porta: “Single Benni Paolo”, “Ceprovocontutte Rossi Gedeone” , “Pastafariano Platano Gennaro”, “Nerd Montorsi Francesca”.
Ecco… cosa potrebbe esserci scritto sul campanello della Papera? Probabilmente Oncofamily.
In realtà sulla targhetta alla porta della Paperfamily ci sono una paperella e una cana stilizzati, ma papà papero vorrebbe un titolo anche per lui: Dott. Papàpero! ... Ma nooo si è laureato a 38 anni suonati con un corso universitario on line per corrispondenza...
Forse meglio Cav. dell’Ordine di Santa Pazienza protettrice delle oncocampagne… noooo, alla fine non se ne farebbe nulla. Allora forse Papàpero Martire protettore di tutti i mariti che sopportano megere di mogli, madri e suocere. Noooooo, nooo e ancora noooo, allora... San Papàpapero protettore di tutti gli educatori? Ma no, è già stato scomunicato per aver traviato Mamma Pinguibox.
No, tutto dovrebbe essere più semplice, basterebbe ci fosse scritto: Papà (o anche Papi, Papiiinoooo, come quando Bellacana, con fare e allegramente zuccheroso, lo chiama, e allora non ci sono Dottori, Conti, Visconti, Cavalieri , Cavalli o Somari).
Papà è un suono che rimbomba nell’intimo ed esplode nel cuore facendolo sentire VIVO.
A volte Papàpapero nemmeno ci crede, e si ritrova a riguardare le foto del suo quasi settenne e della sua Papera e a dirsi che, cavolo, è tutto vero!
Ci sono cose che lo fanno intenerire, come fare le lavatrici e buttare nel cestello la biancheria, i suoi calzini bucati, le mutandone ascellari di Mammapapera, e poi... calzino a forma di rana ,calzino con fiorellini, slippino delle ninja turtles... e improvvisamente si sente grande, grande inteso come adulto, ma grande anche perché è una gran cosa, e tutto si chiarisce e riemerge dalla solita corsa quotidiana. È buffo, basta una canottierina taglia nano per riscoprire la magia dell’essere genitori.
Essere Padre è sentirsi parte di un incantesimo ancestrale, lo stupore di veder crescere qualcuno da zero, da prima della sua comparsa sulla terra... è smadonnare in aramaico perché le scarpette da 60 euro comprate due settimane fa non si infilano più, mannaggia!!!
E’ scoprire improvvisamente che un gesto come avere il pargolo a cavallo sulle spalle può portare automaticamente a un ricovero diretto in chirurgia per pluriernie e contemporaneamente a traumatologia cranica pediatrica perché… cacchio, fino a ieri ci passavamo sotto al tendone del bar!!!
Essere padre è riscoprirsi bambini, basta una palla, una spada di legno per essere ancora capaci di trasformare il letto in un vascello pirata, e salvare il pelouche rapito dal drago cattivo, sgominare la banda di omini playmobil ladri di tesori, e poi... poi accanirsi e voler continuare a giocare finchè “Papi siamo stanchi, possiamo guardare un cartone???”
Essere padre è abbracciarli, stritolarli ,annusarli questi bambini (evitando accuratamente i piedoni naturalmente) e lasciarsi inebriare dalla loro innocenza, farsi inondare dalla loro energia, e da quel profumo, quell’odorino di latte, zucchero, polvere e sogni.
A volte Papàpapero si lascia trasportare dal domani, si chiede, braccando i suoi pargoloni, chi sto abbracciando? Un futuro ing. o dott., o forse un mur. o una drag. un galeott? Chi lo sa, e li stritola più forte.
Ma poi, chisennefrega di che professione faranno, che orientamento sessuale avranno, i papergenitori sognano due adulti del futuro che, come due scarabei stercorari, sappiano apprezzare fino in fondo quella palletta di vita, e che siano in grado di farla rotolare fino a renderla meravigliosa, o semplicemente rendere meraviglioso viverla.
E così Papàpero si ritrova a stritolarli come per difenderli da un futuro enigmatico e insondabile, con quei grandi punti interrogativi che a volte si infilzano nella pelle e diventano timori, tumori: la Papera starà bene? Per quanto? Per Come? E Bellacana, con la sua dolcezza e sensibilità, quanto sarà segnato dalle oncobattaglie vissute? Insomma, i soliti cazziemazzi tipici di un oncogenitore ansioso che in quegli stritolamenti degni di Kaa si rifugia come per voler bloccare il momento, l’adesso in cui tutto va bene, perché come dice il saggio Somariano, l’educatore incontrato a Malga Riondera, i genitori devono essere porti sicuri ma a volte i figli sono insenature naturali dove rifugiarsi dalla tempesta, dove nascondersi e ritrovarsi .
E Papàpero crede fermamente al fatto che i bambini ci guardano, che ci prendono a medello, e allora ci prova ad essere un buon modello, di certo non vuole essere un supereroe... bè, diciamo almeno non un supereroe convenzionale, lui potrebbe essere... SuperPippo! Con il pigiamino a toppe e un lenzuolo come mantello, un supereroe imperfetto e raggiungibilissimo, essere perfetti e pedagogicamente impeccabili da queste parti non interessa, è un’ illusione, come un illusione è voler preservare a tutti i costi i bambini dalle frustrazioni . Papàpero mette in castigo, e la sua vena sadica a volte si esibisce in virtuosismi punizieschi . A volte è esigente, altre lascia correre, sa essere severo ma anche complice, a seconda delle situazioni. Sono le forme dell’amore.
Certo questa imperfezione genitoriale creerà ferite, blocchi, disturbi, psicosi (ussignur!!!) ma d’altro canto bisogna pur dar da lavorare a psicologi, psicoterapeuti, maestri Zen, sciamani...
Essere padre per Papàpero è immaginarsi in un futuro lontano, quando Bellacana e l’Oncopaperella saranno Mister Beautiful Dog e Miss Warrior Duck, ancora lì, presente, al loro fianco (se vorranno), Parados… siempre (come da scoutiana memoria), per non cadere nell’inganno della vecchiaia che passa il testimone ai giovani licenziado i vecchi dal ruolo di genitori.
E se la vita dovesse riservare a Papàpero altri destini … il papà ci sarà sempre lostesso perché, al di là della genetica, è il tempo speso, le parole dette, l’attenzione, i baci dati, le corse, l’amore sempre e comunque. È cosi che l’amore si imprime nei figli nel profondo, diventa la loro essenza, carne e sangue, sempre lì, dentro di loro. Un’eredità, il nostro testamento.

E il pensiero allora va a quei papà che sono andati via troppo presto, che non hanno avuto la possibilità di vederli crescere questi figli, di guardarli negli occhi mentre tagliano i traguardi della vita, che non posso più stingerli forte e annusarli. Che non possono più dire “Quella/o è mia figlia/o” e versare per loro lacrime di gioia.
Il pensiero va al loro immenso dolore.
Poi subito penso a chi il papà non ce l’ha più, chi l’ha perso troppo in fretta, in maniera improvvisa, chi dovrà fare i conti con quel buco nel cuore.
L’augurio è che un giorno,guardandosi allo specchio, possa riscoprire atteggiamenti, espressioni, modi di dire del suo papà, e che quel buco possa farsi meno profondo.
E sarà dovere e responsabilità di chi resta aiutare a fare rivivere l’invisibile.




Dedicato a te, che con la tua risata e le tue battute riempivi uno spazio vitale per un paese intero, a te, che stai consigliando il vin santo migliore a San Pietro mentre riempi le buste della spesa agli angeli.