mercoledì 23 dicembre 2015

Ospedalando... double version

19 Dicembre, Teatro Dadà “Ospedalando la storia”:

Buio in sala.
 Voce fuoricampo.
Urlo.
Parole sussurrate.
Un vetro si infrange…
L’attrice in scena.
…E poi lui: il Proiettore!
Il videoproiettore, che per tutte le due ore di monologo si è acceso e spento in totale armonia, oserei dire in simbiosi, con l’attrice. Certo, a volte è stato inevitabile che la soverchiasse, con tutta la sua precisa, puntuale, perfetta magia.
Perché il videoproiettore era lui: Papàpapero!!!
Papàpapero, l’artista della videoproeizione. Il Michelangelo del tubo catodico  reggeva tutta la perfomance di Mammapapera.
Con quale “remidesca” delicatezza pigiava il pulsante dello standbye trasformando ogni immagine in oro!
Da sabato scorso il gregario da combattimento più anziano è diventato lo Yoko Ono di Duckcity e zone limitrofe. Ha  firmato diapositive vintage e teleobiettivi. La Canon (anzi, la BellaCanon) e la Nikon se lo contendono come testimonal.
Tutto il resto è silenzio. Lo spettacolo avrebbe potuto parlare anche delle ragadi delle lumache che con il videoproiettore di Papàpapero sarebbe comunque salito al livello di The tree of life.
Certo Mammapapera è stata bravina, anche abbastanza credibile. Vestita di nero poi sfinava anche tutte le plissettature da Chow Chow.  Ma ammettiamolo,  senza l’intervento di Papàpapero tutto sarebbe stato come una scenetta parrocchiale.
Eeeeeh va bè, la verità è stata leggermente falsata dalla fantasia psicotica del povero Papàpapero che si sentiva il Malaussen della serata. In scena, nascosto, recluso tra una quinta  e il  muro a schiacciare il pulsante di un telecomando che forse non serviva nemmeno ad accendere il  videoproiettore, forse era solo un placebo… in realtà ha solo aperto e chiuso dieci volte l’automobile della Psycopresentatrice!
Un modo veramente bieco per neutralizzare il canuto pennuto e la sua innaturale destrezza ad essere maldestromalsinistromalintuttiiversi!
Certo se in dotazione invece del telecomando gli avessero dato  popcorn e birra, l’anatide attempato avrebbe potuto, grattarsi la schiena con una delle corde appese, mangiarsi le unghiette dei piedi e  simulare ( ehm… ssssè, simulare eh)   bronze e puzzette facendo ricadere la colpa sull’unica artista in scena.
Forse è veramente invecchiato, e ad una certa età basta vedere la foto di un gattino su facebook per ritrovarsi a fare il mescolino. Insomma, questo vecchio gallinaccio  si è ritrovato in un vortice di emozioni, e l’occhio del ciclone era proprio lei,  Mammapapera. Tutto intorno una silenziosa  sintonia con una platea magica che si lasciava incantare dalle scene.
È stato strano, pur essendo ad un passo l’uno dall’altra, ciascuno aveva il proprio compito. Piccole, semplici azioni per raccontare una sfida più grande, rivivere e far vivere ancora le emozioni dell’ Oncosuite, la storia di Lady Nutria e Ser Fagiano che si ripete, sempre insieme, eternamente divisi, vicini. E la Paperaguerriera con il suo fedele gregario da combattimento Bellacana lì, in platea a ciucciarsi un lecca lecca e vivere da spettatori un’avventure della quale, in fondo in fondo, saranno sempre protagonosti.
Per un paio di mesi Papàpapero ha indossato la pappagorgia e il foulard in testa di Mamy  e per  Zignorina Baberella e Zignorino Canello ha guginato, , bulito, abbarecchiato , lavato, addorbendado, imbregato e sbuffato. Ma non ha mai mollato, e nel frattempo si è preso la soddisfazione (più e più…e più…. E più………e piùùùùùùùù volte) di cazziare quella pazza pazza Mammapapera rinfacciandole di aver preso tra le ali una sfida  così grande.
E come un cervello cibernetico la coppia di Paperi si è organizzata ognuno con il proprio talento, mettendoci del suo, spalleggiandosi e a volte pallegiandosi al suon di  MA Che due biiiiiiiippppONI!!!!!!!!!
E così, alla tenera età di 41 anni, Papàpapero si è ritrovato a fare il bagarino, il P.R. in giro per negozi ad appendere manifesti, il galoppino tra vari uffici per le autorizzazioni, si è ritrovato a ripescare le sue attitudini ossessivorganizzative da ex organizzatore di eventi tra i campi di A.C, scout, ed Eventi per aziende. Si è ritrovato, dopo 10 anni, a riprendere in mano la chitarra e a scrive una bozza musicale fatta con due note in croce, che poi,  buttata nel pozzo di San Patrick da Cavazzona, si è trasformata in una canzone (che poi ha pure dovuto cantare, anzi... quackquare!!!).
Ma sempre, ogni volta, è rimasto stupito dalla follia di Mammapapera che si eleva all’ennesima potenza quando si tratta di mettere in scena qualcosa (vogliamo chiamarlo talento????... mmmh… non so, chiamiamolo… follento). 
E così si è lasciato contagiare, e ha cominciato a divertirsi sul serio a creare la locandina della spettacolo, l’immagine di Papergritte, il giga acquario di palloncini (attingendo idee dalla  lunga gavetta tra le stanze di oncologia pediatrica).
E poi  si è liberato di una piccola fantasia: creare l’ONCOCROCE, la cui struttura  è fatta con i tappi di protezione degli aghi delle siringhe usate per la pulizia del broviac della Papera (e del Gufetto), su questa sono stati conficcati  aghi arroventati dalla fiamma di un accendino.
E l’oncocroce  è questo, una sfida! La malattia ti lancia milioni di sfide, continuamente, e ti porta inevitabilmente a rapportarti con il mistero della fede (Amen). C’è chi trova  conforto e vede nella croce la sofferenza dei  propri guerrieri e negli aghi  i chiodi di Cristo. Per altri  l’oncocroce è la rabbia, il dolore, l’inspiegabile, e allora  Dio diventa  il principale accusato, chie la trasforma in un woodoo, in una bestemmia, come bestemmia è un tumore in una bimba di pochi mesi! Per altri diventa un grido di ribellione nei confronto di una realtà che allontana dall’amore di Dio, da una dottrina distante anni luce dalla propria realtà.
L’oncocroce è quello che ognuno riesce a vedere.

E finalmente… domenica! Tutta la truppa riunita, stanca,  felice e con tanta voglia di straordinaria normalità.
Bè, il lunedì dopo c’è stato il prelievo  di controllo della papera per cui... ben tornata apnea ;)





Il teatro è una scatola magica.
A teatro può succedere di tutto, davvero. Possono accadere le cose più tremende, si possono commettere i delitti più efferati, vivere le passioni più brucianti, scatenare i drammi più feroci e sempre, alla fine, tutti ne usciranno pacificati, arricchiti, per dirla come un manuale di storia dello spettacolo “purificati dalla catarsi”.
A teatro puoi essere chi vuoi. Puoi trasformarti. Basta crederci, ma crederci davvero.
Non è fantastico? Non ti serve niente. Solo il tuo corpo, la tua voce e… BUM! Magia!!!
Le assi di legno consumate del palcoscenico, i pesanti tendaggi neri delle quinte, tutto è essenziale, minimale, corde, fari… e quell’odore… quella sensazione di stupore e meraviglia che scende dalla gola al cuore quando il tuo sguardo, da lì, attraversa la platea buia e vuota.
Poi pian piano le poltroncine si riempiono, i riflettori si accendono… e la scena si anima.
È come un sogno.
Un’idea folle nata per caso, come un sasso nello stagno. Proviamo.
E il sasso colpisce, i cerchi si allargano e il sogno prende forma.
Prima quelle teste matte di Aseop che accettano la sfida.
Poi il testo che pian piano passa dalla forma scritta a quella orale.
Le scenografie surreali e oniriche di Papàpapero, la locandina, musiche e canzoni originali… e tutta una banda di amici uno più matto dell’altro disposti ad aiutare, , arrangiare, gonfiare centinaia di palloncini, trattenere istinti omicidi (ma solo per la buona causa).
E poi tutti. Tutti quelli che sabato 19 Dicembre sono usciti di casa per venire lì, in quel luogo magico, ad assistere ad un sogno che diventava reale.
Sotto gli occhi di poco meno di trecento persone la magia del teatro ha trasformato la storia di una piccola Papera Guerriera e della sua strampalata Paperfamily, in un racconto armonico e dissonante, fluido ma frammentato, vero e surreale… proprio come l’esperienza che narrava.
Sul palco e dietro le quinte gli elementi cari alla Paperfamily: ironia, leggerezza, follia, incoscienza e un po’ di coraggio. E poi… piume. Piume piume piume e ancora piume… dappertutto, ovunque, anche dopo, a distanza di giorni. Come il riverbero che hanno certe avventure, che sembra che non ci pensi più, invece poi... torna fuori una piuma e…

Tra le frasi ricorrenti, non solo di questi giorni, ma di questi ultimi due anni c’è sicuramente “Non so dove siate riusciti a trovare la forza, io non ce l’avrei mai fatta!”  Bè, non è una questione di forza, né tantomeno di essere più capaci o migliori di altri.
È solo che questo amiamo e sappiamo fare.
 A modo nostro, che è sicuramente singolare, la costruzione e la messa in scena di Ospedalando –La storia-  è il tentativo di dare un senso a tutta la sofferenza che altrimenti sarebbe stata vissuta, sì,  attraversata, ma sarebbe rimasta un fatto solo nostro, e di monadi di dolore è pieno il mare. A noi piace navigare guardandoci attorno, vedere che non siamo soli, e  se possiamo accendere una piccola luce per dire anche ad altri che non si è soli, bè, perché non farlo!?
Così è nata una serata magica, piena di emozioni che salivano e scendevano dal palco alla platea e viceversa. Una magia cominciata con l’incanto frusciante di trecento sacchetti di carta che si aprivano e finita starnazzando in una nuvola di piume leggere.
Grazie. Ancora grazie a tutti quelli che ci hanno accompagnato nel racconto e hanno reso speciale e importante una storia tra tante.
Grazie a tutte quelli che fin dall’inizio ci hanno creduto e a quelli più scettici che si sono ricreduti per strada (ehm… Papàpaaaaapeeeero!!!).
Grazie a chi ha sostenuto e appoggiato il progetto, agli amici stakanovisti e festaioli che ci hanno aiutato colorando il lavoro con allegria.
Grazie a chi si sta impegnando perché questa storia possa essere raccontata ancora.
Grazie a questa matta Paperfamily che ha retto anche questo tour de force.
… e grazie a Papàpapero che, nonostante sia convinto che tutto lo spettacolo si sia retto sulle sue proiezioni, dopo tanti anni sa ancora rendere possibile l’impossibile!

Dimenticavo, visto che ormai manca poco…

Buon Inizio (speriamo!)