sabato 7 maggio 2016

Paperversario -1 aprile 2006-

E’ sera, Papera e Cana ronfano beati tre le braccia di Morfeo.
Per i grandi è ora del pigiamino, agognata meta dopo una luuuunga e intensa giornata. Perché, come dice una massima di Pappàpapero “IL PIGIAMINO E’ SEGNO DI LIBERTA’”. L'anatide maschio ha infatti un'inusitata abilità nell'infilare l'indumento da notte, paragonabile solo a quella Arturo Brachetti, come  Clark Kent in un nanosecondo si  butta nella cabina telefonica trasformandosi in  Superman (e sfido chiunque a dirmi che anche il suo non è un pigiama!!), così Papàpapero si traforma nello sbiciolatore di popcorn,   nel folle  divoratore di schifezze e serie spazzatura, nel supremo atleta del divano. 
Ma stasera... accade qualcosa di strano. Il tempo, in via del tutto straordinaria, rallenta e come in una moviola  si osserva allo specchio  e guardandosi con gli occhi sinceri del suo trascorrere si chiede “Ma chi è quel signore di mezza età vestito come un deficiente? Ma come si è conciato? Ha un  assurdo pigiama bucherellato con stampate delle pecorelle mezze sbiadite, ci sono anche delle striature  di candeggina che fan pendant con i capelli infarinati? "
E’ così Papàpapero si rende conto che  il suo pigiamino preferito potrebbe rinnovarsi e diventare un nuovo straccio per la polvere. Ma ne avrebbe il coraggio? Potrebbe venderlo su E-bay e spacciarlo per un modello vintage della Benetton o fare un atto di finto coraggio, foderarsi gli occhi di lana cotta e giudicarlo degno del cassonetto Caritas (rifugio peccatoribus delle nostre debolezze affettive) accompagnando l'abbandono con meste e sagge parole quali "Speriamo che abbia un’altra vita  e renda felice qualche "bisognoso" ma speriamo soprattutto che i volontari che si occuperanno  dello smistamento non gli tirino troppo accidenti visto che la famiglia dei paperi  li prende sempre molto seriamente!” E’ vero, è solo un pezzo di stoffa. Ma come si fa dopo anni di nanne serene (o quasi ) a congedarlo? Chi siamo noi esseri umani per giudicare i pigiamini usurati e i vestiti dismessi? Diamo una dignità anche a loro, compagni fedeli di vita e di esperienze.
E allora! Basta  con  gli animalisti, i nudisti, i crudisti, gli assenteisti...  innalziamo i vessilli del rattoppo, abbattiamo lo stigma della moda! Uniamoci e difendiamo il diritti degli abiti dimessi!
AMICI DEI RATTOPPI E DELLE PEZZE, UNITEVI AL MOVIMENTO ANTIMODISTA!!!
Ma, Pigiamino bel pigiamino, se potessi parlare cosa diresti al tuo padroncino? Sicuramente decanteresti doti e pregi sintetizzandoli in  quattro aggettivi: usurato, ingobbito, occhialuto, ingrassato. Esprimeresti ul desiderio di volerne uno nuovo,  un Roberto Bolle qualsiasi (…sempre che non dorma con la pantacalza... o  ammesso che  indossi qualcosa… o ammesso che  Bolle dorma e non sia sempre in bolla sulle punte?). 
Ma, Pigiamino pecoroso, purtroppo calzi solo le forme di Papàpaero. E’ andata, così non ci puoi far niente, nemmeno telefonando a Pigiamofono Azzurro potresti essere affidato a un altro padrone, Pigiamofono Azzurro...non esiste (ih! ih! ih! -risata bieca-).
Però puoi considerarti l’highlander dei pigiamini Benetton del 2006! Sei testimonal di come il tempo scorre velocemente sulle tue fibre e sulla nostra. Nel lontano 2006  fosti acquistato  da Mammapapera per il quasi marito Papàpapero per  sostituire il  disgustoso pigiamino anni 80 color azzurro Fiat-cinquecento, con i rombi e gli elastici in tutti i buchi, polsi, caviglie, collo(……apneaapenaapneaapnea). Uno di quei pigiami che per infilarli dovevi aiutarti con un divaricatore.  Un vero cimelio della D.D.R!
Mettila così il Piccolo Principe aveva una rosa, la sua rosa che per lui era la più bella, l’unica, Papàpaero ha te.  Non sei un pigiamino con le pecore qualsiasi ,  tra le tue fibre  sono intrecciati  ricordi,  il tuo cotone è intriso di un pezzo di vita condivisa e vissuta tra Mammapapera e Papàpapero..
Dieci anni che ti indosso , dieci anni dal nostro matrimonio. Ricordi lontani, antichi, forse mai esistititi, cancellati dal tempo, tu eri già con noi AntoedElena, ElenaedAnto, i Cino’ per nonno Toni, i matti per gli amici, i Monamini per noi. 
 Dieci anni dal nostro "Si": Primo aprile 2006,perché sposarci doveva essere uno scherzo molto serio.  Credevamo ancora che con  la vita si potesse giocare, ridere e scherzarci sopra. Amarla perché non ci avrebbe mai tradita.
Collezionavamo ricordi fatti di piume e leggerezza e sognavamo. Elena era ancora un'attrice che aveva concluso l’esperienza della vita da teatrante,  aspirante laureanda del Dams, piena di progetti e sogni in cui tutto era indefinitamente definito, cannibale di libri, teorie e cultura, mangiatrice di popcorn, divoratrice di film assurdi, (film di 8 ore girato d’estate in un bagno pubblico della stazione sciistica di Anghella nelle Ande argentine, sottotitolato in lappone, prodotto in Israele, con attori del teatro del No giapponese).
E poi c’era Anto, che aveva accantonato da pochi anni la sua passione per il mondo della creatività perseguire il forte e inarrestabile richiamo mondo  del sociale. Educatore di comunità, tanti  sogni nel cassetto, studente a tempo perso di psicologia,  pieno di certezze, animato da una fede attiva e salda, con la piacevole sensazione di avere un timone nelle mani.
 L'incertezza non spaventava, AntoedElena facevano librare i sogni verso destini inimmaginabili che la realtà avrebbe trasformato e forgiato. Ricordi, ricordi strani , bizzarri di quell' incredibile 1aprile 2006.
Elena che poche ore prima della messa, si cenerentolizza e pulisce il bagno della casa dei genitori, di lì a poco piena di parenti e ospiti. 
Elena  che infila al suo amato neo marito la vera nel medio della mano destra (...) incastrandola per bene. 
Risa, gioia Felicità,  ricordi, ricordi di festa, festa, risa leggerezza,  e poi  ritrovarsi improvvisamente soli, rannicchiati in una vecchia Cinquecento per raggiungere la location per le foto ripetendosi “Cavolo lo abbiamo fatto!!!!.Che pasticcio!!”
Anto, che durante le foto ricordo si ritrova a spingere la micro-car del mjtico Alfredo che disperso nella campagna tra Manzolino e l’agriturismo del rinfresco.
Leggerezza, libertà ed il futuro era ancora uno spazio infinito, da riempire. Il   traguardo del nostro sì lo voglio era la partenza della nostra vita, della nostra realtà.
Poi la vita si è fatta finalmente sentire. La vita, quella di Frank McCourt. La vita che con le sue unghie nere e i polpastrelli callosi ci ha afferrato e tirato giù dal pero.
Non eravamo ninfee galleggianti sulla superficie della sorgente della vita in attesa di sbocciarte, eravamo indubbiamente dei SEMI, sia di nome che di fatto, e come tali la vita ci doveva sotterrare  e ricoprire con terra e cacca. Sempre più giù terra e merda.
E allora? non c’è nulla di straordinario, prima o poi capita  a tutti che la vita si faccia sentire, no? Oddio... poteva capitarci a 70 anni, ne avremmo vissuti almeno altri 30 in un mondo di bambagia dove i problemi gravi potevano essere i voti deludenti di un figlio somaro, ma questa non è la nostra storia. E così ci siamo ritrovati in una rete di sofferenza che non avevamo mai provato: due gravidanze svanite in poche settimane, la malattia di quel nonno che voleva, e avrebbe potuto essere, il più nonno di tutti e che si è dovuto accontentare di tenere il proprio nipotino sulle su gambe sedute in carrozzella prima di lasciarlo per sempre. La malattia dell’altro nonno, che l' ha reso ovattato e non gli permette di vivere in pieno le cose. Le nonne provate da tumori e depressione.
E poi  Papera, la gravidanza difficile, la delicata operazione, e il tumore e la recidiva e poi  e poi  tutto intrecciato invischiato nel correre, nell'incastrare... ma eravamo sempre noi sempre, noi nonostante tutto.  
E il burattinaio che tira i fili e a volte impicca, l'orologiaio che blocca gli ingranaggi, o quel Dio, o quel niente che ci governa, bè… dovrebbe darci delle spiegazioni,  perché tutto sommato sul pero si stava bene!!!
E ora  che stiamo faticosamente tentando di spuntare da tutto quel letame, di rinascere annaffiati da chi ci ha sostenuto e amato, e da noi stessi,  ora ci troviamo così, con i capelli infarinati, le occhiaie perenni, tu con la pelle da Sharpei e le guance svuotate come il commissario Bassettoni, io , con una gobba stile Aigor e un accenno (eufemisticamente) di panza, la bocca un po’ più asciutta, l’animo più prosciugato e avido, stanco di cercare l’incanto.
I complimenti e le parole  sussurrate rimangono ingarbugliati nella realtà   e fioriscono nel quotidiano deviando verso la via del fare:  una colazione a letto, una cena post addormentamentum  pargolis, o il ricordarsi di essere prima di tutto, in partenza, in potenza, Noi proprio prendendoci cura della nostra strampalata famiglia.
Nostalgia del Come eravamo? Non lo so, il nostro È non ci permette di deconcentrarci perché il Sarà ci spaventa, e inevitabilmente ci aggrappiamo all’ Adesso e cerchiamo di succhiarlo e viverlo intensamente, perché la vita questo ci ha insegnato, mandando in vacca qualsiasi riferimento metafisico.
Io faccio fatica, non ho ancora la pace in  me stesso, continuo a sentirmi imbruttito, a volte un inganno per te e per i bimbi. E poi mi dico che noi siamo come l’Uomo Pietra dei Fantastici 4, noi abbiano la forma della nostra vita, della realtà che si è appiccicata sulla nostra pelle. Sassi che potevano lapidarci, affondarci, farci annegare e che invece ci hanno resi più duri, più corazzati. Forse più lontani dai nostri desideri, ma ben piantati sulla terra. Abbiamo perso... ma abbiamo vinto (un po' come tutti gli schieramenti politici dopo le elezioni).
Siamo come quel pigiamino delle pecore, logorati, scoloriti, ma nonostante tutto calziamo la nostra vita e cerchiamo di farla star comoda nei nostri panni.
E allora, nonostante l’ abbrutimento e l’imbrattatura, le piaghe dell’animo e lo stropiccio cuore siamo e continuiamo a rincorrere  allegria e  follia perché sono linfa e ossigeno per noi, per la Papera guerriera e per il comandante Bellacana.
E io... io non so ancora se ce l’ho fatta, e quanto e perché sono in tempesta, ma non sarei mia diventato Papàpapero senza di te. Hai sopportato e accettato le mie rabbie abilmente traslocate dall’angoscia dell’esistere al concreto bisogno di ordine, pulizia, igiene, il mio trasfigurarmi in casalinga isterica, in un Kapò che ti rinfacciava sempre le faccende non sbrigate. Certo non è (fortunatamente) nella tua natura essere la fatina della casa, ma pazientemente hai in parte ascoltato... e in parte ti sei fatta scivolare addosso tutte le mie manfrine.
Sei in grado di reggere i miei attacchi di rabbia, la pesantezza delle mie provocazioni, del mio lamentarmi che a volte accogli, altre a volte lasci correre… a volte prendi di punta, a mi rendo conto che meriterebbe di essere pagato con un ben assestata bastonata.
Tu che ce la metti sempre tutta a infilzare il quotidiano con la leggerezza.
Tu, che ti accontenti e fai festa per una brioche scongelata del discount, che anche se hai in banca il conto di RenatoAZero, va bene lo stesso, non te ne fai cruccio.
Tu che ti accontenti del presente, senza troppi rimpianti o rivendicazioni per una sliding doors nella quale avresti potuto rincorrere le tue passioni. Vivi, vivi e mi dimostri che la realtà è bella se tu l’ami, l’accetti ( a volte anche se la accétti un po'), la vivi senza troppi se…ma…bho.
Tu che tieni in un forziere le tue ansie, che raramente lasci uscire e che, nel caso, fanno  un  gran botto d’artificio ma non sono  mai distruttive come un terremoto, perché tu scegli sempre noi.
Tu che  sei l’interprete silenziosa dei miei umori e mi permetti di comunicare con il mondo con il quale a volte litigo e da cui vorrei ritirarmi.
Tu che traduci le mie parole farfugliate e mangiucchiate restituendo loro una forma intelliggibile
Speriamo che sta stronza della Vita ci permetta di restare insieme ancora un bel po', intanto prediamoci questi 12 anni.
12 anni insieme a te.
Ammetto di essere un pellegrino in cerca di sogni, un ingenuo un po’ ignavo che ha la sensazione e la certezza  di aver fatto scivolare le occasioni perché non si è sentito mai pronto pronto, adeguato.
Spesso in questa vita mi sono sentito in gavetta, ma di una cosa sono certo e mi sento sicuro, io ho amato!
E amo, vi amo e sarà così sempre, qualsiasi accidente la vita ci metterà difronte!


In questi 10 anni di matrimonio i  nostri cuori hanno battuto in sincrono, scassati, imperfetti ma hanno battuto il tempo dell’amore, e tutto questo vale e varrà sempre, ed è un pezzo di eterno che abbiamo incastonato, marchiato a fuoco nel nostro cuore, nella nostra anima, nelle nostre gambe stanche che corrono ancora giù dalla collina in attesa di spiccare il volo.