lunedì 30 settembre 2013

Apnea

...il problema non è il lavandino pieno di piatti sporchi, nè la montagna di roba da lavare o i panni da stirare, non è neanche che Bellacana non dorme, la valigia da preparare, il pavimento più appiccicoso della melassa. Il problema è questo stato di sospensione, nel quale si galleggia di continuo in una sostanza lattiginosa e biancastra,un'aria viziata che sa di chiuso e stantio...come una tapparella alzata solo a metà, che filtra la luce in una penombra stupida e inutile, che blocca il sole e inspessisce le nuvole. Il problema è l'attesa! Costante, perenne, indefinita. Che paralizza il respiro,sclerotizza i gesti, sospende le emozioni. Ci vorrebbe una cannuccia per respirare sott'acqua, un boccaglio, un bambù. Il problema è l'apnea. Si avvicina la data dell'intervento, e ancora non si sa se si farà, la papera è raffreddata, e questo per gli anestesisti è un problema. E allora un semplice controllo diventa ricovero per vedere se aerosol e cortisone sbloccheranno la faccenda. Sbloccheranno la faccenda? Servirà a qualcosa? L'operazione si farà? E' possibile che fino all'ultimo si debba rimanere in questo limbo insostenibile dove niente è certo, nemmeno le cose più ovvie e banali? E come lo dici a Bellacana che è dai nonni ad aspettare che la papera non torna a casa? Come fai a dare dei punti fermi ad un bambino di tre anni che da un terzo della sua vita vive in questo stato di totale e confusa incertezza? ...APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA APNEA... In realtà lui ha capito molto bene come si deve fare, si prende un bel respiro, fino a riempire i polmoni tanto da scoppiare e giù, di nuovo sott'acqua a nuotare, nuotare, nuotare sempre in avanti fino a stordirsi di stanchezza, fino a non sentire più le braccia e le gambe, fino a farsi spuntare le squame e le branchie. Il problema è il pensiero di quella panchina. Se ne sta lì, all'inizio del corridoio del comparto operatorio. Un corridoio lunghissimo. Tu, seduto sulla panchina di formica, lo sguardo in avanti, le mani sudate e irrequiete che non sanno dove stare, la gola secca e la bocca asciutta. E intorno questa cappa d'aria pesante che fatica a raggiungere i polmoni. Ogni tanto a metà del corridoio si materializza qualcuno che avanza verso la panchina...è per te?...no. E allora torni sotto, in apnea, ad aspettare, con la mascella tesa e la testa piena di pensieri, dai più terribili ai più sciocchi. E non sai cosa volere. A volte due chiacchiere aiuterebbero, a volte solo il silenzio, in certi momenti però la solitudine ti uccide...e a volte non c'è niente di più solo sulla faccia della terra di due genitori in apnea su una panchina! L'attesa la senti nelle vene, come se fossero cave. Un vuoto bianco, freddo e denso che ti scorre dentro lento...lento...lento...puoi sentirne l'avanzare millimetro dopo millimetro, e il tic tac del grande orologio diventa il rumore più assordante del mondo, fastidioso come il trapano del dentista, sottile come un ultrasuono, pesante come un macigno che si stacca trascinando con se la montagna. Ci sono grandi vetrate lungo il corridoio, ma nessuna maniglia per aprirle...è costruito proprio bene questo acquario. Perché non è un mare, o un lago...o una pozzanghera dove sopra ai comunque il cielo. E' un acquario, piccolo, stretto, chiuso da ogni parte. E lo spazio tra il pelo dell'acqua e il coperchio è poco, pochissimo, e più il tempo passa più sembra ridursi. E diventa sempre più difficile riempirsi i polmoni tanto da scoppiare, diventa sempre più difficile resistere, e l' apnea diventa sempre più breve e faticosa...il bisogno di tornare a galla sempre più frequente e urgente, ma c'è sempre meno aria meno aria meno aria menoaria menoaria menoaria menoariamenoariamenoariamenoariamenoaria.......

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