lunedì 26 agosto 2019

Ci vuole molto allenamento...(per stare dritti controvento)


Correva l'anno 1993 e al Palazzetto dello sport una ragazzina assisteva al suo primo concerto: Carboni/Jovanotti, Soleluna tour.
A quell'età si cambia in fretta, e l'anno dopo, la stessa ragazzetta, piangeva la morte di Curt Kobain.
Poi sono passati altri anni, altre canzoni, altre passioni. Pare che la vita funzioni così.
Capita poi, nel corso della vita, che ci siano partenze e ritorni, e allora anche quel giovane cantautore bolognese, che sembrava ormai aver fatto il suo tempo ricompaia, qualche anno fa, con una canzone identica a quelle di allora. Stesso sound, stessa voce roca, stesso inconfondibile accento e stessi testi un po' leggeri e un po' filosofici. Capita che, se Bologna è una regola, tu, che eri una ragazzina negli anni '90, riascolti quei vecchi successi e scopri qualcosa di nuovo. Non ti parlano più solo di amori infelici, farfalline troppo precoci o adolescenti un po' sbandati (o forse solo troppo sbadati), ed ecco che a colpirti oggi,passati i 40, in quella leggerezza sia la filosofia di quei testi. Quella verità distrattamente accennata ma messa lì, quasi per caso. Quasi per caso?
Fatto stà che è una frase, una sola, breve frase in un'intera canzone che ti si rivela all'improvviso:

Ci vuole molto allenamento per stare dritti controvento

E' proprio una delle immagini di Ospedalando, lo spettacolo. Un mare devastato dalla tempesta, pieno di relitti, zattere, vele a brandelli. Su ciascun relitto le sagome degli oncogenitori sopravvissuti alla burrasca. Bianchi, invecchiati, devastati da quella durissima prova ma dritti contro il vento. Dritti. Lo sguardo fiero verso un orizzonte che ancora non si vede. Dritti, perché non si può fare altro. Non ci sono alternative. Non si può, lì, in mezzo all'uragano che infuria e che vuole prendersi tuo figlio, non si può cedere, distrarsi, mollare, prendersi un attimo di pausa. Non si può cedere allo sconforto, alla debolezza, non ci si può mostrare frangibili davanti a quel piccolo guerriero. Devi difenderlo con tutte le tue forze.
Non si può far pensare al mostro che può vincere.
Dritti. Contro vento.
E non ti viene bene subito, ha proprio ragione Luca. Ci vuole davvero molto allenamento.


Correva l'anno 1993 e al Palazzetto dello sport una ragazzina assisteva al suo primo concerto: Carboni/Jovanotti, Soleluna tour.
Trent'anni dopo quella ragazzina si trasforma, suo malgrado, in Mammapapera. È giugno. La diagnosi per il male di sua figlia è Tumore: teratoma scacrococcigeo.
Fuori c'è il sole, l'estate è appena cominciata. Tutti parlano di vacanze.
La bambina ha nove mesi, ciuccia un papero di pezza.
Tu devi dare spiegazioni, consolare i nonni, rinsavire amici sgomenti... ma non sei allenato. Non abbastanza. Come farai?
Ci vuole molto allenamento. Molto, molto allenamento.
Prima di tutto il cuore. Quel pugno che batte in petto e rischia di fermarsi, di andare in pezzi, di esplodere. All'inizio perde qualche colpo, ma poi... respiri, respiri (in ogni allenamento il respiro è fondamentale), respiri... sistole, diastole, sistole, distole, pum pum, pum pum, pum pum. Ben stretto in una corazza nuova fatta della volontà di non mollare ecco che ricomincia il suo consueto galoppare, appena appena sottotono, controllato a vista, per non correre il rischio di rompere quella corazza, che in fin dei conti è fragile come un guscio d'uovo.
Dicevamo del respiro, anche quello va rafforzato, soprattutto in vista delle apnee. Quelle lunghe, interminabili apnee sulla panchina dell'attesa, nel comparto operatorio. Quelle apnee da risonansia. Quelle apnee che ti svegliano nel cuore della notte togliendoti il sonno.
Poi il sorriso. Anche quello bisogna tenere in allenamento. Le difficoltà potrebbero indebolirlo e questo non possiamo permettercelo. Attenzione, non deve essere un sorriso di circostanza, ma un sorriso vero, che parta dal cuore (ancora lui) e si irradi dagli occhi fino alla curva della bocca. Allenarsi a ridere e sorridere di tutto è forse l'esercizio più difficile di tutti. Bisogna esercitarsi di continuo, ogni giorno, qualsiasi momento è buono per una serie di sorrisi.
E così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, diventi un atleta nell'affrontare la scalata sul Monte Canchero.
Purtroppo talvolta capita che la montagna crolli e la slavina ci travolga. E non c'è allenamento che tenga. Solo silenzio, sgomento, rabbia. Perché questa gara non è una competizione, gli atleti gareggiano tutti insieme, uniti verso il traguardo, e quando qualcuno non riesce a raggiungere il podio perché inghiottito da un'onda anomala o sepolto da una valanga, tutti si fermano a rendere omaggio. Poi bisogna ripartire, respira... respira... sistole, diastole, sistole, diastole... apnea, sorriso... e via, di nuovo.

Così per 6 anni. Sei lunghi anni. Densi, intensi. Montagne russe, ponti sospesi, funi aggrappate nel vuoto. Sei anni.
Giugno 2013 Luglio 2019

"Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità"

Il riso nel pianto.
Incredulità e gioia.
Avrai capito bene? Rileggi.
Rileggi, rileggi, rileggi rileggi... Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità...

Il traguardo.
Allora esiste!?
Esiste!!!
continui a non crederci, ma non puoi fare a meno di constatare che è vero. Hai tagliato il nastro.
Ti lasci timidamente andare alla gioa, alla felicità. Salti, balli, ridi e piangi tutto insieme.

Sulla carta è finita. Sulla carta la Papera è guarita.
Ma nel cuore? Nell'anima? Dentro quel complesso groviglio di nervi, emozioni, buchi neri, crepacci che siamo noi, esseri umani?
Com'è difficile pronunciare quella parola.
È inutile, noi opn ci riusciamo, non ancora perlomeno.
Probabilmente non è facile da capire. Lo so, dovremmo lasciare andare il passato, goderci questo momento, stare sereni e andare avanti.
Ma c'è qualcosa che sta sempre lì, acquattata e scura, piccola piccola forse, ma dura come un diamante. È la paura. La malattia dell' oncogenitore.
Da qusta non si guarisce.
Temo non si guarisca mai.
E non mi importa se da fuori è qualcosa che non si riesce a capire. Fa lo stesso.
La gente dica pure "Ma dai, su, è finita!" "Adesso la bimba sta bene!" "E' guarita!" e bla bla bla... si, va bene. Sulla carta è così, è vero.
Ma noi, purtroppo o per fortuna, non siamo fatti di carta.
E serve molto (molto) allenamento per stare dritti contro vento!







6 commenti:

  1. Che gioia leggere queste parole
    Sono appena atterrata su questo pianeta sconosciuto..al quale nn ho ancora dato un nome ed ecco che trovo come prima cosa queste belle parole.
    Ti contatterò, se posso.. se non rischio essere troppo invadente.
    Intanto vi abbraccio
    Paola

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  2. scusami, ho letto il tuo messaggio solo adesso, contattami pure quando vuoi (anche sulla pagina fb in privato).

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  3. Non so come fare x mettermi in contatto con lei. Non ho f.b.

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  4. Non conosco questo sito, ci sono capitata per caso...

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