Correva
l'anno 1993 e al Palazzetto dello sport una ragazzina assisteva al
suo primo concerto: Carboni/Jovanotti, Soleluna tour.
A
quell'età si cambia in fretta, e l'anno dopo, la stessa ragazzetta,
piangeva la morte di Curt Kobain.
Poi
sono passati altri anni, altre canzoni, altre passioni. Pare che la
vita funzioni così.
Capita
poi, nel corso della vita, che ci siano partenze e ritorni, e allora
anche quel giovane cantautore bolognese, che sembrava ormai aver
fatto il suo tempo ricompaia, qualche anno fa, con una canzone
identica a quelle di allora. Stesso sound, stessa voce roca, stesso
inconfondibile accento e stessi testi un po' leggeri e un po'
filosofici. Capita che, se Bologna è una regola, tu, che eri una
ragazzina negli anni '90, riascolti quei vecchi successi e scopri
qualcosa di nuovo. Non ti parlano più solo di amori infelici,
farfalline troppo precoci o adolescenti un po' sbandati (o forse
solo troppo sbadati), ed ecco che a colpirti oggi,passati i 40, in
quella leggerezza sia la filosofia di quei testi. Quella verità
distrattamente accennata ma messa lì, quasi per caso. Quasi per
caso?
Fatto
stà che è una frase, una sola, breve frase in un'intera canzone che
ti si rivela all'improvviso:
Ci
vuole molto allenamento per stare dritti controvento
E'
proprio una delle immagini di Ospedalando, lo spettacolo. Un mare
devastato dalla tempesta, pieno di relitti, zattere, vele a
brandelli. Su ciascun relitto le sagome degli oncogenitori
sopravvissuti alla burrasca. Bianchi, invecchiati, devastati da
quella durissima prova ma dritti contro il vento. Dritti. Lo sguardo
fiero verso un orizzonte che ancora non si vede. Dritti, perché non
si può fare altro. Non ci sono alternative. Non si può, lì, in
mezzo all'uragano che infuria e che vuole prendersi tuo figlio, non
si può cedere, distrarsi, mollare, prendersi un attimo di pausa. Non
si può cedere allo sconforto, alla debolezza, non ci si può
mostrare frangibili davanti a quel piccolo guerriero. Devi difenderlo
con tutte le tue forze.
Non
si può far pensare al mostro che può vincere.
Dritti.
Contro vento.
E
non ti viene bene subito, ha proprio ragione Luca. Ci vuole davvero
molto allenamento.
Correva
l'anno 1993 e al Palazzetto dello sport una ragazzina assisteva al
suo primo concerto: Carboni/Jovanotti, Soleluna tour.
Trent'anni
dopo quella ragazzina si trasforma, suo malgrado, in Mammapapera. È
giugno. La diagnosi per il male di sua figlia è Tumore: teratoma
scacrococcigeo.
Fuori
c'è il sole, l'estate è appena cominciata. Tutti parlano di
vacanze.
La
bambina ha nove mesi, ciuccia un papero di pezza.
Tu
devi dare spiegazioni, consolare i nonni, rinsavire amici sgomenti...
ma non sei allenato. Non abbastanza. Come farai?
Ci
vuole molto allenamento. Molto, molto allenamento.
Prima
di tutto il cuore. Quel pugno che batte in petto e rischia di
fermarsi, di andare in pezzi, di esplodere. All'inizio perde qualche
colpo, ma poi... respiri, respiri (in ogni allenamento il respiro è
fondamentale), respiri... sistole, diastole, sistole, distole, pum
pum, pum pum, pum pum. Ben stretto in una corazza nuova fatta della
volontà di non mollare ecco che ricomincia il suo consueto
galoppare, appena appena sottotono, controllato a vista, per non
correre il rischio di rompere quella corazza, che in fin dei conti è
fragile come un guscio d'uovo.
Dicevamo
del respiro, anche quello va rafforzato, soprattutto in vista delle
apnee. Quelle lunghe, interminabili apnee sulla panchina
dell'attesa, nel comparto operatorio. Quelle apnee da risonansia.
Quelle apnee che ti svegliano nel cuore della notte togliendoti il
sonno.
Poi
il sorriso. Anche quello bisogna tenere in allenamento. Le difficoltà
potrebbero indebolirlo e questo non possiamo permettercelo.
Attenzione, non deve essere un sorriso di circostanza, ma un sorriso
vero, che parta dal cuore (ancora lui) e si irradi dagli occhi fino
alla curva della bocca. Allenarsi a ridere e sorridere di tutto è
forse l'esercizio più difficile di tutti. Bisogna esercitarsi di
continuo, ogni giorno, qualsiasi momento è buono per una serie di
sorrisi.
E
così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, diventi un atleta
nell'affrontare la scalata sul Monte Canchero.
Purtroppo
talvolta capita che la montagna crolli e la slavina ci travolga. E
non c'è allenamento che tenga. Solo silenzio, sgomento, rabbia.
Perché questa gara non è una competizione, gli atleti gareggiano
tutti insieme, uniti verso il traguardo, e quando qualcuno non riesce
a raggiungere il podio perché inghiottito da un'onda anomala o
sepolto da una valanga, tutti si fermano a rendere omaggio. Poi
bisogna ripartire, respira... respira... sistole, diastole, sistole,
diastole... apnea, sorriso... e via, di nuovo.
Così
per 6 anni. Sei lunghi anni. Densi, intensi. Montagne russe, ponti
sospesi, funi aggrappate nel vuoto. Sei anni.
Giugno
2013 Luglio 2019
"Essendo
passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari
ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio.
Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse
necessità"
Il riso nel pianto.
Incredulità e gioia.
Avrai capito bene? Rileggi.
Rileggi, rileggi, rileggi
rileggi... Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non
si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il
nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta
qualora ce ne fosse necessità Essendo passati 5 anni dalla fine
della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli
programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione
per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità Essendo passati 5
anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori
controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a
disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità...
Il traguardo.
Allora esiste!?
Esiste!!!
continui a non crederci, ma
non puoi fare a meno di constatare che è vero. Hai tagliato il
nastro.
Ti lasci timidamente andare
alla gioa, alla felicità. Salti, balli, ridi e piangi tutto insieme.
Sulla carta è finita. Sulla
carta la Papera è guarita.
Ma nel cuore? Nell'anima?
Dentro quel complesso groviglio di nervi, emozioni, buchi neri,
crepacci che siamo noi, esseri umani?
Com'è difficile pronunciare
quella parola.
È inutile, noi opn ci
riusciamo, non ancora perlomeno.
Probabilmente non è facile da
capire. Lo so, dovremmo lasciare andare il passato, goderci questo
momento, stare sereni e andare avanti.
Ma c'è qualcosa che sta
sempre lì, acquattata e scura, piccola piccola forse, ma dura come
un diamante. È la paura. La malattia dell' oncogenitore.
Da qusta non si guarisce.
Temo non si guarisca mai.
E non mi importa se da fuori è
qualcosa che non si riesce a capire. Fa lo stesso.
La gente dica pure "Ma
dai, su, è finita!" "Adesso la bimba sta bene!" "E'
guarita!" e bla bla bla... si, va bene. Sulla carta è così, è
vero.
Ma noi, purtroppo o per
fortuna, non siamo fatti di carta.
E serve molto (molto)
allenamento per stare dritti contro vento!
Che gioia leggere queste parole
RispondiEliminaSono appena atterrata su questo pianeta sconosciuto..al quale nn ho ancora dato un nome ed ecco che trovo come prima cosa queste belle parole.
Ti contatterò, se posso.. se non rischio essere troppo invadente.
Intanto vi abbraccio
Paola
scusami, ho letto il tuo messaggio solo adesso, contattami pure quando vuoi (anche sulla pagina fb in privato).
RispondiEliminaMessenger va bene?
EliminaGrazie x sua risposta. Paola
RispondiEliminaNon so come fare x mettermi in contatto con lei. Non ho f.b.
RispondiEliminaNon conosco questo sito, ci sono capitata per caso...
RispondiElimina